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LA DINAMICA EVOLUTIVA DI UN ECOSISTEMA:

IL CASO DEL SANTUARIO DELLA DEA MEFITIS A M. ROSSANO


L'impatto sul territorio di importanti siti archeologici e centri di culto nonché delle attività antropiche passate hanno certamente indotto nell'ambiente circostante elementi di modifica del coevo ecosistema locale subendo, a loro volta, l'influenza delle stesse modificazioni.
Il patrimonio architettonico del medio e basso bacino del fiume Basento, Basilicata, è giunto alle soglie del duemila in condizioni di forte degrado strutturale proprio per le trasformazioni dell'ambiente fisico avvenute nel tempo. La desertificazione delle aree collinari risulta una conseguenza dell'aggressione erosiva di agenti naturali ed antropici che trova nel paesaggio calanchivo la sua massima espressione. Frane, calanchi e cedimenti del sottosuolo hanno sempre minacciato, nel corso dei secoli, un numero rilevante di edifici storici tanto che questi sono stati in seguito abbandonati. La dinamica evolutiva dell'ecosistema di un'unità fisiografica minore, tuttavia, può essere ricostruita attraverso una analisi multitemporale delle interazioni che sono scaturite dalla presenza di insediamenti storico-architettonici nell'ambiente fisico locale. La ricostruzione storica di questo ambiente e delle sue modificazioni nonché delle ubicazioni, dei mutamenti, delle riorganizzazioni e delle crisi sociali dei centri di aggregazione umana può fornire una valutazione dei fattori di causa ed effetto nel processo storico di trasformazione del territorio. Seguendo il percorso delle modificazioni congiunte è possibile, cioè, ricostruire il processo storico interattivo tra i due sistemi nel tempo e valutare la velocità dei processi di mutamento. Ciò permetterà, inoltre, di tradurre queste conoscenze in termini previsionali e di valutare, presumibilmente, le trasformazioni future del patrimonio archeologico ed architettonico in funzione del degrado ambientale e dei tempi di impiego.
Una prima sperimentazione è stata effettuata nell'area del santuario della dea Mefitis (IV secolo a.C.) a Macchia di Rossano nel territorio di Vaglio di Basilicata, nei pressi di Potenza. Lo studio è stato avviato dopo il rapporto definitivo della campagna di scavi, avvenuta tra il 1969 e 1986, diretta dai proff. Dinu Adamesteanu ed Helhtraut Diltney, quest'ultima conclusa con una mirabile pubblicazione edita dalla "Deputazione di Storia Patria per la Lucania" nel 1992, in Potenza. Tra le note preliminari gli Autori hanno scritto: "Lo scavo del santuario lucano di Rossano ha posto molti problemi che si collegano con la geologia e con la conservazione del suolo". In realtà sia la storia degli scavi sia quella del santuario sono state direttamente influenzate dalle condizioni geologiche ed ambientali del sito, nel senso che il sistema naturale locale e quello insediativo
hanno subìto dei meccanismi di reciproco stimolo e di regolazione.
Il santuario della Mefitis fu costruito su un falsopiano del versante orientale del M. Macchia di Rossano nella seconda metà del IV secolo a.C., periodo questo datato attraverso molti documenti archeologici ed epigrafici
e corrispondente anche al momento in cui i Lucani presero coscienza della loro forza. Verso la fine del III secolo a.C. l'ambiente agricolo e forestale nei dintorni del santuario subì una prima trasformazione che indusse, sul lato occidentale del sagrato, una modificazione strutturale dell'edificio. Quest'ultimo, infatti, fu coinvolto da un lieve movimento di massa del pendio, probabilmente in seguito ad un terremoto. La presenza di alcune iscrizioni del II secolo a.C., sopra la pavimentazione del sagrato, nonché le basi delle colonne poste sotto la stessa pavimentazione hanno aiutato a determinare i limiti di tempo in cui si sono verificati i rifacimenti.
Tra il III-II secolo il santuario, almeno per ciò che risulta dalle numerose iscrizioni e dalle monete rinvenute, ebbe una vita abbastanza vivace; aumentarono le presenze dei pellegrini e dei sacerdoti che determinarono un maggiore impiego e consumo delle risorse naturali locali; dalle sorgenti circostanti vennero costruite nuove canalizzazioni per il trasporto d'acqua verso il luogo di culto che fu liberamente versata sul pendio a valle. Alla fine della Repubblica l'intero complesso subì un nuovo dissesto provocato da ulteriori movimenti dell'antico corpo di frana. Le condizioni del santuario dovettero essere tali da obbligare un membro della famiglia Acerronius, lui stesso di origine lucana, ad effettuare nella prima metà del I secolo d.C. il restauro di quasi tutto ciò che era rimasto in piedi, riutilizzando il materiale intatto. Molte iscrizioni entrarono a far parte del muro di recinto sul lato settentrionale, altre vennero inserite nella pavimentazione, altre ancora nelle strutture del canale esterno di scolo delle acque sul lato occidentale dell'edificio. Con il rifacimento della pavimentazione del sagrato, le maestranze di Acerronius rialzarono anche il livello della nuova cloaca, tentando di armonizzarla con gli altri canali e canalette. Il lavoro più impegnativo fu, però, condotto sul lato occidentale dove fu costruito il canale che deviava le acque verso il pendio meridionale. Si trattò, in conclusione, di un restauro generale, con nuove costruzioni sul lato sud-occidentale.
Con queste opere di restauro il santuario risorse all'antica grandezza; divenne tra i più importanti complessi di culto della Lucania e, nello stesso tempo, anche un centro politico con la sua organizzazione civile. Purtroppo non durò a lungo; con l'età di Tiberio o subito dopo (~79 d.C.) il santuario cessò di vivere quando un nuovo basculamento del corpo di frana preesistente trasformò l'intera zona in un pantano. Al momento dell'abbandono definitivo, in una zona poco distante, nasceva Potentia.
Sul versante orientale di Monte Macchia Rossano, sede del santuario, affiorano argille scagliose di vario colore con scarse intercalazioni di strati calcarei ed arenacei, molto tettonizzate, appartenenti al membro superiore eocenico dell'unità delle Argille Variegate (Ogniben, 1969). La giacitura di questi terreni è complicata da ripiegamenti che portano spesso al ribaltamento degli strati. In superficie le A.V. contengono materiale morboso e/o concrezioni carbonatiche la cui presenza è da collegare a movimenti di massa più o meno recenti.
Alla base del pendio, il vallone del Distacco mostra forme di dissesti antichi con frequenti riattivazioni di frane preesistenti dovute all'incisività del reticolo idrografico.
Le indagini svolte sul pendio hanno permesso alcune osservazioni significative sul comportamento delle A.V.:
a) i movimenti franosi sono lenti ed avvengono in concomitanza con eventi meteorici prolungati o di alta intensità;
b) le frane in genere, avvengono dopo che l'accumulo detritico a valle viene scalzato dal corso d'acqua o dilavato sul pendio dalle acque superficiali;
c) i piani di scorrimento risultano pressoché paralleli al pendio stesso nella parte alta ed assumono forma arcuata nella parte mediana e bassa; tuttavia essi sono discontinui, digitati e seguono sostanzialmente il reticolo di fratturazione della massa;
d) la massa franata è costituita da argilla ed argilla marnosa allo stato plastico, molle, fortemente decompresso, contenente blocchi o frammenti di materiale marnoso, calcareo ed arenaceo, talora stratificati;
Il versante settentrionale di Rossano inoltre è tra le più ricche zone della Lucania in sorgenti; molte sono le tracce di antichi canalizzazioni che collegavano le sorgenti al santuario. Attualmente il santuario è basculato a monte, con immersione a NW esattamente contraria a ciò che indicano i canali di scolo e le due antiche cloache, in parte sovrapposte, che riversavano le acque sul pendio. Durante gli scavi è stato necessario effettuare una bonifica della parte settentrionale del complesso monumentale ove ristagnava acqua la cui presenza aveva originato il toponimo di "Pantano".
Le relazioni esistenti tra composizione chimico-mineralogica e proprietà geotecniche delle A.V. sono tra loro molto complesse, non solo per gli aspetti meccanici ma soprattutto per quelli di carattere fisico-chimico legati alla natura molecolare delle parti fini a contatto tra loro.
I minerali inerti costituiscono, in media, il 27% del totale campionato; la frazione non carbonatica è quella prevalente ed è rappresentata da soli due minerali, quarzo e feldspati per un totale di circa 24%. Il materiale carbonatico è costituito da frammenti di rocce calcaree e marne-calcaree e, subordinatamente, da clasti organogeni; la percentuale è molto bassa ?circa 2,78%), talora assente.
Dall'analisi del materiale talquale i minerali argillosi risultano circa il 73% del totale. La smentite predomina su tutti gli altri minerali argillosi (42,3%); la caolinite, invece, è 29,1%, l'illite 17,9%, la clorite circa 3%. Le quantità in percentuale dei singoli minerali argillosi sono molto variabili; le maggiori variazioni si registrano nella percentuale di smentite che nell'insieme appaiono indipendenti dalle località e dalla profondità dei campioni esaminati.
La percentuale argillosa risulta, in media, superiore a quella limosa mentre la frazione sabbiosa supera il 10% in peso solo nei campioni molto superficiali. La carta di plasticità di Casagrande indica che si tratta di argille inorganiche ad alta plasticità (Ip = 51,8 media) con elevato limite di liquidità. L'umidità naturale (w) presenta una certa variabilità con la profondità passando da valori di 30-60% nei primi 6 m di spessore dal p.c. a valori di 15-25% in campioni più profondi. Con l'aumento di w, il peso di volume naturale y subisce un certo decremento confinato tra un valore massimo di 22,2 KN/mc ed uno minimo di 19,5 KN/ mc.
Gli angoli di attrito interno di picco e residuo sono, in genere, molto variabili. Le A.V. sono leggermente sovraconsolidate; il parametro OCR, è risultato in media 1,94 con una tendenza ad aumentare con la profondità. In definitiva sembra che i parametri fisici delle A.V. dipendenti dalla storia geologica del deposito, mostrino valori molto uniformi con coefficienti di variazione inferiore al 10%; quelli invece direttamente influenzati dalla presenza d'acqua nel sottosuolo hanno variabilità maggiore sottolineata da coefficienti di variazione sempre superiori al 10%.
Queste argille, dunque, risultano essere piuttosto instabili al contatto con l'acqua. Il processo di rigonfiamento, infatti, dipende non solo dalla reidratazione dei minerali espandibili (smectite) ma, contemporaneamente, anche dall'entità del rilascio tensionale, riconosciuto lo stato di sovraconsolidazione, che si traduce in spinta attiva sul pendio. A questo quadro sperimentale si fa oggi continuo riferimento nell'ambito degli studi che si propongono di definire modelli matematici rappresentativi del comportamento meccanico di terreni coesivi in condizioni di
instabilità e/o di degrado dei pendii.
Analizzando i caratteri litologici e morfologici del pendio nonché le proprietà tecniche delle A.V. si può presupporre che il santuario di Monte Rossano abbia subito periodici dissesti dell'edificio a causa degli incrementi di apporto idrico localizzato all'area di culto. La verifica di tali supposizioni può essere effettuata attraverso il calcolo delle condizioni di riattivazione dei movimenti di massa che esige la conoscenza di un insieme di fattori interdipendenti fra loro.
Uno dei fattori di maggiore indeterminatezza è dato dalla valutazione della risalita della falda idrica nel terreno in funzione delle precipitazioni atmosferiche. Il momento critico per la stabilità di un pendio si ottiene quando il coefficiente di sicurezza al taglio, desunto da calcoli approntati in condizione di equilibrio limite, assume un valore minimo inferiore ad 1; in terreni coesivi questo coefficiente diminuisce linearmente con l'aumento della pressione idrica interstiziale. In merito, una adeguata conoscenza delle escursioni della falda idrica in funzione degli eventi meteorici risulta determinante per l'interpretazione di innesco dei movimenti franosi. L'obbiettivo, pertanto, è quello di stabilire, sperimentalmente, una relazione tra afflussi meteorici e fluttuazioni della falda idrica in modo da ottenere una retta di regressione che permetta di calcolare il tenore delle precipitazioni corrispondente all'altezza piezometrica critica assunta nel calcolo delle condizioni di equilibrio limite delle A.V.
Attraverso le verifiche di stabilità effettuate a posteriori (back-analysis), è stata determinata, infatti, la posizione del livello piezometrico corrispondente ai valori delle pressioni interstiziali a rottura. Prendendo come riferimento l'antica superficie di scorrimento del movimento di massa, ricostruita attraverso le indicazioni morfologiche residue del corpo di frana ed individuata durante i sondaggi meccanici effettuati in loco, la procedura utilizzata è stata quella di eseguire dei calcoli di stabilità, con il metodo dell'equilibrio limite di S.H. Sarma (1974/1979), per ciascuna delle potenziali quote della superficie di falda idrica poste a livelli diversi nel pendio. Questo metodo conduce a dei risultati più corretti soprattutto là dove la pressione dell'acqua interstiziale raggiunge dei valori elevati e l'analisi viene eseguita in funzione delle pressioni effettive. Il metodo di Sarma, inoltre, meglio si adatta a pendii con geometria qualunque e con superfici di scorrimento circolari e piane costruite arbitrariamente per punti tramite l'introduzione diretta delle coordinate in un programma di calcolo. L'analisi, dunque, è stata effettuata in termini di tensioni totali, per cui lungo la superficie di scorrimento hanno agito spinte idrauliche in direzione normale ad essa, mentre il peso dei conci ha assunto il peso di volume saturo della parte sommersa. Sono state trascurate, invece, le spinte causate dal moto di filtrazione dell'acqua. Si è proceduto quindi alla scelta della situazione meno conservativa. Dalla sezione il fattore di instabilità ottenuto è =0,99, con falda posta a -1,5 m dal p.c. Le condizioni di instabilità delle A.V. vengono raggiunte, dunque, quando la pressione neutra nel terreno corrisponde ad una altezza piezometrica di circa 1,5 m dal piano campagna. In questo caso la verifica di stabilità è soddisfatta per un solo piano di scorrimento che approssima le condizioni di equilibrio limite del terreno. Nel caso in cui la falda è al piano campagna, invece, il pendio è coinvolto da numerosi piani di scorrimento della massa litica. Resta dunque la necessità di stabilire una relazione tra afflussi meteorici e fluttuazioni della falda nel sottosuolo al fine di individuare il tenore delle precipitazioni corrispondente all'altezza piezometrica di -1,5 m ed a quella del piano campagna. Le misure piezometriche effettuate mensilmente per 2 anni e 7 mesi in 7 piezometri di tipo Casagrande hanno permesso di calcolare le fluttuazioni della falda in funzione delle piogge mensili; la Fig.12, invece, mette in rapporto due dati sperimentali e da essa si vede che, in media, ogni 20 mm/mese di pioggia comporta 0,5 m. di innalzamento del livello di falda.
Inoltre, il valore critico della piezometrica a -1,5 m dal p.c. viene raggiunto, all'incirca, con 455 mm/mese di precipitazioni mentre con 520 mm/ mese il livello piezometrico raggiunge il piano campagna.
La retta di regressione di fig. 12 fornisce quindi il valore di soglia delle precipitazioni che si sarebbero dovute manifestare nei vari periodi storici in cui si sono verificati i dissesti del pendio e, conseguentemente, del santuario della Mefitis. Tuttavia è da considerare che questi valori sono da attribuire ad eventi metereologici più che eccezionali per un clima semiarido mediterraneo quale quello del meridione d'Italia; e, seppure il clima mediterraneo di 2000 anni fa viene considerato maggiormente umido rispetto a quello attuale, precipitazioni di 455 mm/ mese costituiscono sempre eventi difficilmente verificabili; molto più verosimile è che il valore della falda a -1,5 m sia stato raggiunto quando le acque delle sorgenti circostanti furono convogliate verso il santuario e fatte defluire sul pendio per lunghissimi periodi al fine di soddisfare le esigenze di una crescente presenza di pellegrini e di sacerdoti proprio quando il sito assumeva maggiore importanza e grandezza. In definitiva, le contrazioni delle aree boscate, la messa a coltura di nuove aree cerealicole, ma soprattutto il maggiore apporto idrico localizzato, sono stati i fattori che hanno interferito profondamente nel sistema fisico ambientale provocando reazioni distruttive dello stesso centro di culto.
Attualmente il sito è stato bonificato e molte opere di restauro del complesso archeologico sono state condotte con estrema perizia ed efficacia; tuttavia, l'errore che non bisogna commettere per la conservazione di questo patrimonio architettonico, di grande importanza per la storia dei Lucani, è quello di favorire la penetrazione di acque superficiali nel sottosuolo oltre il limite di saturazione del terreno posto a 1,5 m di profondità dal piano campagna. Sistemi di monitoraggio, rivolti essenzialmente all'installazione di piezometri nel pendio circostante il santuario, costituiscono un mezzo di osservazione della fluttuazione della falda idrica nel tempo e dunque possono costituire un controllo delle condizioni di rischio idrogeologico dell'edificio archeologico.


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tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000

Autore: Luigi Coppola

 

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